Amicizia e ricordi con Pilin Hutter, signora torinese progressista, aperta, socievole e dicono generosa e spiritosa. Nata Oggero (Piera Rosa, settembre 1927) ha sposato Marcel Hutter nel 1951. Figlia unica, è stata poi madre di 4 figli e..sorella di tante e tanti. Spesso disturbata da fasi di depressione si riscattava abbondantemene quando ne era fuori. Poco cosciente invece negli ultimi 17 anni ma serena. Riposa al cimitero di Pino Torinese dal 28 febbraio.

martedì 14 aprile 2009

"Come una Rose Kennedy", riflessioni di Guiomar

Pilin ti guardava in silenzio per un po’, il suo ragionamento sembrava e probabilmente raggiungeva angoli lontani, poi sorrideva e ti diceva: vieni, andiamo…di là, a chiacchierare delle tante cose che faceva, di che cosa facevamo noi a Milano (Paolo ed io), di come la pensavo su questo o su quello… Mi toccava fare dei salti mortali per mettere insieme le mie carte migliori perché conoscendola sapevo che non si sarebbe accontentata di qualche commento superficiale, ma che sarebbe tornata all’attacco con altre domande o con le sue tipiche molto sarcastiche ma garbate note sulle cose e sulle persone. E non volevo deluderla! A volte mi dava l’idea di essere rassegnata a un ruolo, salvo poi stupirmi organizzando incontri, iniziative, interviste per la scuola di danza con persone eccezionali come una professionista e in pochissimo tempo… Questo tratto della persona che avrebbe potuto fare e dare molto di più se le condizioni si fossero combinate in modo diverso mi affascinava e mi spaventava allo stesso tempo (perché è comune a tante donne e, perché no, poteva diventare anche il mio): è stato il destino di tante donne del secolo scorso (ormai), che avevano capacità, intelligenza e che avevano avuto il privilegio di potere ammassare una notevole cultura, ma non la fortuna o la possibilità – se non con rotture molto difficili e talvolta dolorose (come nel caso di mia madre) – di trovare un ruolo che permettesse loro di esprimerle, di plasmarle, di risputarle fuori… Quante donne importanti conosceva e frequentava Pilin stessa nella Torino di quegli anni? Artiste, avvocate, giornaliste (Bianca Guidetti Serra, Carla Gobetti, Anna Sagna..) e quante altre che invece rimanevano nei loro ruoli tradizionali, qualche volta al fianco di uomini che contavano tra gli intellettuali, tra la borghesia torinese illuminata… Ebbene, non ho mai provato neppure la tentazione di criticarle per il loro non rompere gli schemi, perchè tutte loro, come Pilin, che ho conosciuto meglio, nel loro ambito – la famiglia, le relazioni sociali, la politica – hanno avuto, credo, attraverso i loro figli o affiliati, una sorta di ruolo di “portatore sano” di idee che loro stesse non potevano forse mettere in atto, ma sì trasmettere. Credo che questa sia stata la “grande opera” di Pilin. “Ha fatto” solo nei limiti delle possibilità, ma invece ha fatto molto rispetto al mettere ben in chiaro: “questo si può fare” (che è quello che lei ha detto, direi, a Patrizia, a Paolo, a Stefano, a Erika e a Barbara) . Si può pensare con una mente aperta, si possono affrontare i colpi della vita - e non riesco a immaginare cosa possa essere perdere un figlio giovane come era allora Stefano, si può parlar di cose tabù e si può pensarla politicamente anche in maniera ardita, pur restando sempre una gran signora, dove essere una signora voleva dire coniugare grandi privilegi con grandi sensibilità (e volere bene e imparare da quel brontolone di Goffedo Fofi, confessare di dover rileggere due volte l’intervista di Giovanni Testori o ascoltare con attenzione gli argomenti di Fausto Bertinotti). Dagli Stati Uniti qualche volta mi è capitato di pensare a Pilin come a una Rose Kennedy che nel “provincialismo” – passatemelo – di Torino aveva fatto e faceva del suo meglio per allevare, anche come chioccia adottiva, come nel mio caso, una generazione di figli e non solo che fosse quanto meno all’altezza del meglio della sua generazione (quella della Resistenza, gli artisti che aveva conosciuto Bella Hutter, ecc). In tutta questa faccenda meritevole includo ovviamente - ma loro lo sanno - anche Marcel e Ata che erano la struttura sine qua non e tanto altro, ovviamente, dell’aria frizzante che si respirava a Pino Torinese.
La coscienza del privilegio (non solo sociale, ma anche di istruzione e di educazione) è molto più difficile da gestire, credo, del privilegio tout-court, tanto più se abbinata a una grande sensibilità. E azzarderei (senza improvvisarmi esperta di nulla!) che questo abbia contribuito alle difficoltà e alle sofferenze di donne come Pilin o come mia madre (intelligenti e colte) negli ultimi anni della loro vita.

Ho sofferto molto quando Pilin si è ammalata, perché purtroppo me ne intendo di malattie neurologiche, e perché mi sembrava oltremodo crudele che una persona che poteva dare ancora tanto – e con la quale mi divertivo moltissimo ad andare in giro per librerie, a fare shopping, a chiacchierare nelle superbe pasticcerie di Torino o a trovare chi potesse ritessere la sciarpa dalla quale Paolo non si era più separato dopo il Cile - fosse zittita così terribilmente dal destino. Qualche volta, invece, mi sono consolata rivedendo il film di Woody Allen Tutti dicono I love you, dove nella coprotagonistaho sempre visto, sorridendo tra me e me, una simpatica versione newyorchese di Pilin.

Guiomar Parada

10.4.09